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Guida all'investimento nel 2015 OF OSSERVATORIO FINANZIARIO

SOMMARIO

E' venuto il momento di fare qualche ipotesi sulle principali tendenze che guideranno l'andamento dell'economia globale nel corso del 2015 e di mettere a fuoco rischi e opportunità che si presenteranno ai risparmiatori nel corso dei prossimi 12 mesi. OF fa il punto sui temi caldi dell'economia e del risparmio del 2015 sulla base delle analisi e delle previsioni con cui gli economisti, i fund manager e i grandi gruppi finanziari globali si preparano ad affrontare nuovo anno. Ecco 10 domande chiave dell'investimento 2015. E le 10 risposte più corrette

Guida all'investimento nel 2015

L'anno che ci siamo lasciati alle spalle ha disatteso molte delle promesse della vigilia – ripresa economica generalizzata, buon andamento delle borse, definitivo ritorno alla normalità dei mercati finanziari. Tuttavia il 2014 può essere archiviato come un periodo sostanzialmente positivo per i risparmiatori, anche italiani.

Se Piazza Affari e le principali borse europee hanno deluso gli investitori con performance risibili, buone soddisfazioni sono venute dal listino di Wall Street (+13% l'indice S&P500), da alcuni mercati emergenti (Shanghai +49,7%, Mumbai +30,8%) e, del tutto inaspettatamente, dal segmento del reddito fisso.

L'indice di performance dei Btp italiani è infatti cresciuto del 12,7%, i Bund tedeschi hanno fruttato circa il 10% e perfino le obbligazioni statunitensi, da cui tutti si aspettavano sfracelli a causa del temuto aumento dei rendimenti e dei tassi di intesse, sono state in grado di generare una performance del 5,2% (18% per gli investitori in euro, grazie al deprezzamento del cambio della divisa europea).

Adesso è venuto il momento di fare qualche ipotesi sulle principali tendenze che guideranno l'andamento dell'economia globale nel corso del 2015 e di mettere a fuoco rischi e opportunità che si presenteranno ai risparmiatori nel corso dei prossimi 12 mesi. OF fa dunque il punto sui temi caldi dell'economia e del risparmio del 2015 sulla base delle analisi e delle previsioni con cui gli economisti, i fund manager e i grandi gruppi finanziari globali si preparano ad affrontare nuovo anno.

Ecco 10 domande chiave dell'investimento 2015, E le 10 risposte più corrette secondo Of Osservatorio finanziario

1) Dopo un altro anno di contrazione della ricchezza la ripresa economica si affaccerà finalmente anche in Italia e in Europa?

2) Perché dobbiamo temere la deflazione, vale a dire la caduta generalizzata dei prezzi dei beni e dei servizi?

3) Per quale ragione il ruolo della Bce è così importante e lo sarà ancora di più nel 2015?

4) La nuova crisi della Grecia potrà mettere nuovamente in crisi l'euro e le economie dei paesi più indebitati, come l’Italia?

5) Quali scenari generali caratterizzeranno i mercati finanziari nel 2015 e quali rendimenti possono ragionevolmente attendersi i risparmiatori?

6) Con le cedole dei bond a livelli minimi ha ancora senso investire in obbligazioni? E se sì, in quale tipo di emissioni?

7) Perché la debolezza dell’euro potrebbe fare la differenza nel determinare le performance di portafoglio?

8) Dopo i magri risultati del 2014 le azioni europee torneranno a macinare buone performance?

9) Con la borsa di Wall Street ai suoi massimi di sempre è ragionevole sperare in un ulteriore rialzo delle azioni americane?

10) Oro e materie prime. Nel 2015 converrà ancora diversificare in questo genere di attivi?

1) Dopo un altro anno di contrazione della ricchezza la ripresa economica si affaccerà finalmente anche in Italia e in Europa?
I principali centri di ricerca economica internazionali stimano che il 2015 sarà un anno di crescita per l'economia globale, con un tasso di aumento del Pil che passerà dal 3,2% del 2014 al 3,5%. Si manterrà tuttavia una forte differenziazione fra i tassi di sviluppo delle diverse aree del mondo. La locomotiva americana, che ha chiuso il quarto trimestre del 2014 con un aumento del Pil del 5%, viaggerà su una media di crescita del 2,9% secondo gli economisti di Morgan Stanley e addirittura del 3,5% a giudizio di Société Générale.

Ancora una volta le dolenti note verranno dall'eurozona, il cui prodotto interno lordo è stimato in aumento dell'1% secondo le previsioni della Banca Centrale europea, in ribasso rispetto ad appena cinque mesi fa, quando la crescita aggregata dell'eurozona era stimata nell'ordine dell'1,6%. Una sforbiciata di oltre un terzo nelle previsioni ufficiali di Francoforte. All'interno di questo scenario di crescita debole dell'eurozona la posizione italiana rimane molto delicata. L'Italia è accreditata di un aumento del Pil di appena lo 02% secondo Goldman Sachs e di un più generoso, ma pur sempre modesto, +0,6% da parte di Société Générale.

Vale la pena sottolineare che negli ultimi due mesi si sono accentuati due elementi che potrebbero spingere la crescita europea e italiana al di là di questi valori striminziti. Il deprezzamento dell'euro fino a quota 1,18 contro dollaro nei primi giorni del 2015 e il crollo del prezzo del petrolio al di sotto dei 50 dollari al barile rappresentano infatti un importante fattore di stimolo alla ripresa economica globale e di conseguenza dell'intera eurozona. ---- 2) Perché dobbiamo temere la deflazione, vale a dire la caduta generalizzata dei prezzi dei beni e dei servizi?
I dati relativi all'andamento del costo della vita in Italia e in Europa di dicembre 2014 confermano i peggiori timori degli economisti. I paesi che aderiscono all'euro sono a un passo dalla deflazione. A dicembre la media dei prezzi al consumo nell'eurozona ha fatto registrare un calo del -0,2%. Nel corso dell'intero 2014 l'inflazione registra un aumento complessivo dello 0,8% a livello continentale e di appena lo 02% in Italia, valori ben lontani da quell'obiettivo di inflazione “vicina ma inferiore al 2%” previsto dallo statuto della Bce.

La stessa banca centrale europea ha recentemente ridotto le stime di aumento dei prezzi 2015 dall'1,1% allo 0,7%. E nel corso dell'ultima riunione di dicembre del consiglio direttivo dell'istituto di Francoforte, il presidente Mario Draghi ha dichiarato che “nel corso dei prossimi mesi sarà possibile un ulteriore calo dell'inflazione legato ai prezzi energetici”. Il rischio deflazione, dunque rimane molto alto.

Il timore degli economisti è che a causa della deflazione - una riduzione non episodica ma continuata nel tempo dei prezzi dei beni e dei servizi - si creino anche in Europa le condizioni della cosiddetta “sindrome giapponese”. Vale a dire quella situazione di stallo dell'economia in cui si è trovato incastrato il Giappone dall'inizio degli anni Novanta e durata quasi fino ad oggi, caratterizzata da crescita economica pressoché nulla, prezzi in discesa e aumento del debito pubblico e privato. Una miscela che potrebbe essere letale nel contesto di un'economia europea già duramente provata dalla crisi e da un tasso di disoccupazione a doppia cifra. ---- 3) Per quale ragione il ruolo della Bce è così importante e lo sarà ancora di più nel 2015?
Nella difficile partita che si sta aprendo con l'inizio del 2015 la Banca Centrale europea gioca un ruolo decisivo, non di arbitro ma di attaccante. Il 25 gennaio prossimo, infatti, da Francoforte dovrebbero partire i primi atti concreti per la realizzazione del “quantitative easing”, vale a dire un programma di acquisto di titoli obbligazionari pubblici e privati che dovrebbe aumentare il bilancio della Bce fino all'astronomica cifra di 3mila miliardi di euro.

Gli Stati Uniti, che fin dal 2008 hanno messo in atto politiche monetarie “non convenzionali”, vale a dire basate anche sull'acquisto di titoli e non più soltanto sulla leva dei tassi di interesse, stanno raccogliendo frutti molto positivi in termini di crescita economica dalle scelte realizzate in questi anni. Per l'Europa i rischi sono più elevati. L'economia del Vecchio Continente non gode di quella flessibilità (anche del mercato del lavoro) che è propria delle economie anglosassoni.

E soprattutto l'entità e le dimensioni delle operazioni di acquisto di titoli pubblici da parte di Francoforte è tutta da valutare. I paesi e le banche centrali del Nord Europa, guidati dalla Germania, si oppongono infatti fieramente agli interventi della Bce per timore che questa politica di sostegno rallenti le necessarie riforme dei paesi più indebitati della zona euro. In sostanza Germania, Finlandia, Olanda, paesi baltici non vogliono pagare il conto degli sprechi accumulati nei decenni dai governi di Roma, di Atene e di Madrid. Alla Bce spetta dunque il delicatissimo compito di individuare un punto di equilibrio tra le esigenze di dare sostegno all'economia reale attraverso nuove iniezioni di liquidità nel sistema economico e le obiezioni dei paesi “virtuosi” che hanno fondato le loro fortune su finanze pubbliche sane.

L'aggravarsi dei rischi di deflazione nel mese di dicembre potrebbe aiutare Francoforte a realizzare scelte più incisive (con volumi di acquisti più elevati del previsto) proprio per contrastare il rischio che i prezzi al consumo si avvitino in una spirale negativa. ---- 4) 4) La nuova crisi della Grecia potrà mettere nuovamente in crisi l'euro e le economie dei paesi più indebitati, come l'Italia?
Proprio sul finire del 2014 la Grecia, che sembrava avviata sulla via del risanamento con una crescita del Pil di alcuni punti percentuali dopo sette anni di recessione, è ribiombata in una inattesa crisi politica che potrebbe avere pesanti conseguenze economiche. La mancata elezione al terzo scrutinio del Presidente della repubblica ellenica ha infatti portato allo scioglimento del Parlamento e a nuove elezioni che si terranno il 25 gennaio prossimo.

I mercati temono la vittoria del partito di sinistra Syriza che ha fatto della rinegoziazione del debito di Atene verso le istituzioni internazionali e la Bce uno dei cardini della sua battaglia. Syriza, guidato dal giovane leader Alexis Tsipras non è tuttavia un partito populista classico (come la Lega Nord, il Movimento Cinque Stelle, il Front National di Marine Le Pen o l'UKIP di Nigel Farage in Gran Bretagna), non chiede l'uscita della Grecia dall'euro e non ha una vocazione nazionalistica.

Tuttavia i mercati temono che la novità politica di Atene possa inceppare il processo decisionale di Francoforte in merito alle necessarie decisioni di politica monetaria (quantitative easing) considerate imminenti. Ecco dunque che il 2015 si è aperto con un forte aumento della volatilità su tutte le borse dell'eurozona, con Milano in calo di oltre il 4% nella prima settimana del nuovo anno e tutte le piazze del Vecchio Continente in ribasso di alcuni punti percentuali.

La sostanziale tenuta dello spread tra i Btp italiani, i Bonos iberici e il Bund tedesco a dieci anni sui livelli degli ultimi mesi è tuttavia considerata un importante indicatore di fiducia. E' molto improbabile, a meno che la situazione non sfugga di mano ai principali protagonisti, che si riprodurranno le situazioni di panico e di rischio di rottura dell'euro che hanno caratterizzato il biennio 2011-2012. ---- 5) Quali scenari generali caratterizzeranno i mercati finanziari nel 2015 e quali rendimenti possono ragionevolmente attendersi i risparmiatori?
C'è consenso tra i fund manager sul fatto che il 2015 sarà un anno caratterizzato da una notevole voltatilità dei mercati soprattutto per quanto riguarda le borse. Anche i titoli a reddito fisso, tuttavia, potrebbero essere interessati da oscillazioni molto accentuate, soprattutto se i tassi di interesse negli Stati Uniti dovessero aumentare in modo più brusco o più ampio del previsto.

Ma l'aspetto più rilavante del 2015, per i risparmiatori, sarà probabilmente il calo dei rendimenti di quasi tutte le classi di investimento tradizionali. Le obbligazioni, come abbiamo visto hanno offerto performance a doppia cifra del tutto inaspettati nel corso del 2014 a causa della fortissima compressione dei rendimenti.

Non dimentichiamo che quando la remunerazione di un titolo a dieci anni scende di un punto percentuale le quotazioni dei bond di pari scadenza già emessi acquistano circa sette punti percentuali in termini di guadagno in conto capitale (viceversa, quando i tassi salgono, il valore dei titoli già emessi scende). A questo punto con il Bund a 10 anni crollato a un rendimento dello 0,4% e il Treasury statunitense a circa il 2% le possibilità di ulteriori guadagni in conto capitale sono praticamente azzerate perché è quasi impossibile scendere ulteriormente.

E' inoltre possibile che se le politiche tese a creare inflazione controllata perseguite dalle principali banche centrali del mondo, dalla Bce, alla Fed alla Bank of Japan, avranno successo, i tassi di rendimento reale di molte attività finanziarie (dati dalla differenza tra la cedola nominale e il tasso di inflazione) possano diventare negativi. Si verrebbero così a creare quelle condizioni di “financial repression”, costrizione finanziaria, che mettono a rischio la redditività di portafoglio e che costringono il risparmiatore ad aumentare notevolmente il rischio per ottenere una performance accettabile (o appena sufficiente) dei propri investimenti. ---- 6) Con le cedole dei bond a livelli minimi ha ancora senso investire in obbligazioni? E se sì, in quale tipo di emissioni?
La cosiddetta “fianancial repression” (vedi punto precedente) ha un impatto particolarmente forte nel segmento del reddito fisso. Prendiamo il caso del Bund tedesco a dieci anni (0,4% di rendimento) oppure dei Bot a un anno italiani (0,28%). Ipotizzando per il 2015 un tasso di inflazione medio per l'eurozona dello 0,7% (stime Bce) gli investitori si troveranno a subire una perdita “reale” di alcuni decimi di punto percentuale.

I rendimenti dei bond infatti non basteranno per compensare il pur modestissimo aumento del costo della vita. Via dalle obbligazioni, allora? Il rimedio potrebbe essere peggiore del male. La strategia suggerita dai fund manager è piuttosto quella di puntare sulle obbligazioni governative ancora in grado di offrire rendimenti “reali” positivi. I Btp italiani a dieci anni, la cui cedola è di poco inferiore al 2%, rientrano in questa categoria. Ancora meglio fanno i Btp Italia, titoli a durata intermedia (4-6 anni) il cui rendimento finale è agganciato al tasso di inflazione. La cedola offerta dalle sei emissioni lanciate fino a oggi è grosso modo dell'1%.

I titoli più generosi, infatti, come il Btp Italia con scadenza giugno 2016, una cedola minima garantita del 3,55%, offrono infatti poco meno dell'1% perché il prezzo del titolo è salito sopra la pari e quota attualmente intorno a 103. Ma se guardiamo all'ultima emissioni di Btp Italia, vale a dire al bond con scadenza ottobre 2020 e cedola minima garantita dell'1,25%, possiamo osservare che il rendimento è dell' 1,15% poiche il prezzo dell'emissione si è mosso di poco sopra la pari. E se nel corso dei prossimi anni l'aumento dei prezzi al consumo tornerà verso il 2% ecco che l'inflazione verrà integralmente ripagata da queste emissioni, il cui rendimento reale si manterrà sempre positivo.

“Più in generale - sottolineano gli analisti del Credit Suisse - pensiamo che i mercati obbligazionari globali continueranno a essere supportati da politiche monetarie espansive in Europa e in Giappone e di conseguenza nell'immediato non ci saranno scossoni sul reddito fisso”. Per chi vuole guadagnare di più (e rischiare di più) gli economisti della banca elevetica suggerisccono le obbligazioni dei paesi emergenti in valute forti a breve scadenza, mentre “i bond dei mercati emergenti in valute locali sono da preferire, per ora, alle emissioni societarie high yield (alto rischio/alto rendimento)”. ---- 7) Perché la debolezza dell’euro potrebbe fare la differenza nel determinare le performance di portafoglio?
Uno degli elementi che nel 2015 potrebbero imprimere una svolta ai guadagni complessivi per un investitore basato in euro (vale a dire noi) è la possibilità di realizzare un “capital gain” grazie al deprezzamento dell'euro nei confronti delle principali valute, in particolare il dollaro statunitense. Il trend di svalutazione dell'euro (e di rivalutazione del dollaro), strisciante da molti mesi, ha subito infatti una improvvisa accelerazione proprio nelle ultime settimane. Il cambio euro/dollaro è passato dunque da una parità di circa 1,25 di fine novembre 2014 a 1,18 di inizio gennaio 2015.

Un guadagno di circa il 5% in poche settimane (per chi deteneva attività in dollari) che va ad aggiungersi a un altro 10% di apprezzamento della divisa statunitense rispetto ai massimi dell'euro che risalgono al maggio 2014. A questo punto qualcuno potrebbe obiettare che la festa sta per finire. Non è questa, tuttavia, l'opinione degli economisti valutari. La banca d'affari statunitense Goldman Sachs, per esempio, stima per fine 2015 una parità dollaro/euro a 1,15. Morgan Stanley prevede entro la fine di quest'anno una discesa del cambio fino a quota 1,12.

Non sono pochi, tuttavia, coloro che immaginano un deprezzamento ancora più ampio della divisa europea. Favorito dalla ripresa dei tassi Usa e dalle politiche di espansione monetaria (quantitative easing) che la Bce si appresta a intraprendere. Per cogliere al meglio il trend di rivalutazione del dollaro i risparmiatori possono investire in titoli Usa di breve termine, non soggetti al rischio di perdite in conto capitale quando i tassi di interesse negli Stati Uniti aumenteranno. Oppure, più in generale, nelle attività denominate in dollari evitando di coprire il rischio di cambio. ---- 8) Dopo i magri risultati del 2014 le azioni europee torneranno a macinare buone performance?
La delusione maggiore per i risparmiatori italiani ed europei nel corso del 2014 viene proprio dai listini azionari. All'inizio dello scorso anno quasi tutti gli economisti e fund manager prevedevano rialzi a doppia cifra per le borse del Vecchio Continente e per Piazza Affari. Nessuna di queste previsioni si è realizzata e i listini europei, con l'eccezione della borsa di Dublino (+15%), di Bruxelles (+13%), e di Zurigo (+10,1%) hanno offerto performance non superiori a una manciata di punti percentuali.

Piazza Affari si è distinta in negativo con un guadagno di appena lo 0,2% in 12 mesi, appesantita dalla crisi del colosso Eni (circa il 18% della capitalizzazione del listino milanese) trascinato a sua volta al ribasso dal crollo dei prezzi del petrolio.

Per quanto riguarda il 2015 sembra di ascoltare le medesime fanfare che si udivano lo scorso anno in questa stagione. Grandi gruppi bancari come Goldman Sachs e Société Générale prevedono rialzi a doppia cifra, che nel caso di Parigi e di Milano, i due listini rimasti più indietro in questi anni, potrebbero superare il 20% in 12 mesi. La crisi greca e il crollo dei prezzi del petrolio per il momento hanno raffreddato notevolmente gli entusiasmi e nella prima decade del 2015 tutti i listini europei risultano in perdita, con Piazza Affari, maglia nera, giù di circa il 4%.

E' probabile, tuttavia che i prossimi mesi porteranno buone soddisfazioni a chi decide di investire nel capitale di rischio delle imprese. La svalutazione dell'euro, infatti potrebbe rilanciare la crescita economica e di sicuro spinge al rialzo i profitti delle società che esportano e che realizzano guadagni in dollari. Anche per questo, secondo alcune stime, gli utili delle società europee potrebbero aumentare di circa il 10% nel corso del prossimo anno. Se la congiuntura favorevole di deprezzamento dell'euro, basso prezzo del petrolio, politiche monetarie accomodanti e riforme economiche da parte dei governi dovesse dispiegare al meglio i suoi effetti le previsioni delle grandi banche internazionali, questa volta, potrebbero fare centro. ---- 9) Con la borsa di Wall Street ai suoi massimi di sempre è ragionevole sperare in un ulteriore rialzo delle azioni americane?
Il mercato azionario dello Zio Sam continua a stupire gli investitori. Dopo sette anni consecutivi di rialzi e nuovi massimi assoluti per gli indici a stelle e strisce (l'S&P500 ha superato di slancio i 2000 punti, il Nasdaq è molto vicino ai valori raggiunti prima della fine della bolla delle dotcom di inizio secolo) le prospettive del 2015 sono ancora orientate al rialzo. La crescita economica degli Stati Uniti è infatti la più sostenuta tra le economie dei paesi sviluppati, il rapporto prezzo/utili medio delle società americane è di circa 16,5 volte, grosso modo in linea con i valori delle medie storiche, gli utili attesi delle imprese statunitensi potrebbero crescere fra il 7 e il 9% nel corso del 2015.

Il rialzo dei tassi, che di solito ha un effetto depressivo sulle quotazioni di borsa, in genere non è accompagnato da una contrazione delle quotazioni nelle prime fasi di un ciclo più restrittivo della politica monetaria. Per tutte queste ragioni gli strategist di una delle principali banche d'affari americane, Morgan Stanley, attribuiscono il 60% di probabilità al realizzarsi di uno scenario di crescita di un ulteriore 10% dell’S&P500, il principale indice azionario della borsa di Wall Street. Secondo le stime di Morgan Stanley l'indice potrebbe chiudere il 2015 a quota 2.275 punti contro i circa 2050 attuali.

Gli strategist della banca prendono in considerazione anche uno scenario Toro, cui attribuiscono una probabilità del 20%. In questo caso il rialzo dell’S&P500 si spingerebbe fino a quota 2.750 con una performance superiore al 30%. Viceversa l'ipotesi ribassista, che raccoglie a sua volta il 20% delle probabilità, prevede un calo dell'indice a 1.700 punti, scenario che implicherebbe una perdita di oltre il 17% rispetto al livello corrente.

Vista la netta (e largamente condivisa) ipotesi rialzista i risparmiatori potrebbero scommettere sulla borsa di Wall Street attraverso i fondi azionari specializzati oppure con gli ETF (exchange traded funds) che riproducono l’andamento dell’indice. Investimenti da realizzare rigorosamente senza copertura del rischio di cambio, vista la possibilità di ottenere un ulteriore guadagno in conto capitale grazie al previsto rialzo del dollaro nei confronti dell'euro. ---- 10) Oro e materie prime. Nel 2015 converrà ancora diversificare in questo genere di attivi?
Dopo avere perso oltre il 30% del proprio valore rispetto ai massimi di circa 1.920 dollari per oncia toccati nell'ormai lontano settembre del 201, l'oro ha vivacchiato nel 2014 senza discostarsi troppo dalle attuali quotazioni di 1.200-1.220 dollari. Il risultato è stato un anno privo di una precisa direzione, che si è chiuso con una perdita di poco superiore a un punto percentuale. Che sia giunta l'ora di una nuova ripartenza?

Non è questa l'opinione degli specialisti, convinti che il calo delle quotazioni dell'oro sia un fenomeno di lungo periodo, trainato dai bassi livelli dell’inflazione a livello globale e dal probabile aumento dei tassi di interesse americani. Di conseguenza, secondo Goldman Sachs, a fine 2015 il prezzo del metallo potrebbe scendere verso una soglia di 1.050 dollari con una perdita di circa il 13% rispetto alle quotazioni correnti. Ancora più pessimisti gli analisti di Société Générale che stabiliscono per fine 2015 un target di 950 dollari.

Se effettivamente questo trend ribassista riuscirà a prevalere, diversificare una parte del portafoglio in oro ha davvero poco senso. Ragionamenti simili si possono estendere alle principali commodities, tra cui il petrolio, investibile dai privati attraverso lo strumento degli ETC (Exchange Trade commodities) al pari del metallo giallo. La brusca caduta delle quotazioni del greggio, scese a inizio gennaio a 48 dollari al barile (circa la metà rispetto a un anno fa) potrebbe tuttavia subire una battuta d'arresto.

Alcuni istituti di ricerca, come Moody's, stimano per la commodity un prezzo di equilibrio di circa 55 dollari per il 2015. Tuttavia chi fosse convinto della continuazione del trend discendente del petrolio e dell'oro potrebbe investire su questi beni attraverso lo strumento degli ETC “short”, ribassisti, tenendo comunque sempre conto del fatto che la diversificazione in oro o materie prime ha senso per quote limitate del portafoglio, in genere non superiori al 5-10% del totale.

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