logo-mini
E’ l’ora dei cripto-soldi OF OSSERVATORIO FINANZIARIO

SOMMARIO

Superati i timori e le diffidenze iniziali, la prima valuta coniata sul web, il Bitcoin, ha iniziato ad attirare anche l’attenzione di Banche Centrali e singoli istituti di credito. Sono nate sperimentazioni, consorzi, progetti. E la rete ha iniziato a popolarsi di nuove monete elettroniche. Ma quali sono le implicazioni per il prossimo futuro? Cosa accadrà al dualismo tra banche e Fintech? Come si stanno muovendo le banche italiane? E, soprattutto, cosa accadrà ai clienti?

E’ l’ora dei cripto-soldi

Quattro delle più grandi banche a livello globale, Ubs, Deutsche Bank, Santander e Bank of New York Mellon, hanno da poco annunciato l’avvio di un’alleanza strategica volta a coniare (entro il 2018) una nuova valuta virtuale. L’obiettivo è ambizioso: la moneta digitale sarà creata sul modello di Bitcoin, la prima cripto valuta del web comparsa nel 2009 e, almeno nelle intenzioni, rappresenterà lo standard per un nuovo modo di gestire i pagamenti online.

La notizia, per certi versi, è sorprendente. Quando il Bitcoin, la prima moneta virtuale del mondo creata da un gruppo anonimo di hacker che si nascondeva dietro lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto (secondo la versione più accreditata) fece la sua comparsa online nel 2009, fu accolta da un generale clima di diffidenza. Le Banche Centrali, mentre il fenomeno prendeva piede online, iniziarono a interrogarsi sulla bontà di questo strumento finanziario. In Europa l’Associazione Bancaria Europea invitò i regolatori nazionali a scoraggiare le banche dal comprare, vendere e detenere Bitcoin. In Cina, invece, il governo di Pechino nel 2013 ne vietò addirittura il commercio.

I numeri


Eppure il mercato ha continuato a crescere. Il fenomeno, da esperimento di nicchia, è diventato in brevissimo tempo un mito mediatico, le quotazioni sono balzate alle stelle, e i primi speculatori hanno guadagnato cifre importanti. Basti pensare che all'inizio del 2010 un Bitcoin poteva essere acquistato per soli 4 centesimi. 4 anni più tardi, la quotazione era salita a 1.000 dollari.

Chi ci ha scommesso fin dall’inizio ha guadagnato cifre a 6 zeri. Chi è arrivato troppo tardi, invece, ha perso somme ancora più consistenti. Soprattutto perché si tratta di una moneta estremamente volatile: le ripercussioni di eventi negativi esterni sulla quotazione del titolo hanno provocato, nel corso degli anni, tracolli vertiginosi. Nel 2013, per esempio, la moneta del web perse gran parte del suo valore (arrivando a una quotazione di 119 dollari) quando l’Fbi iniziò a indagare sulla piattaforma Silk Road, accusata di essere utilizzata per la compravendita di stupefacenti. Oggi, invece, nella data di stesura di questo articolo, un Bitcoin viene scambiato a 542,40 euro. Per un mercato complessivo che capitalizza circa 10 miliardi di dollari.

----

Le iniziative delle banche


Nonostante l’andamento altalenante e le numerose battute d’arresto della cripto valuta, in pochi anni il fenomeno è diventato virale in tutto il mondo. Tanto da attirare anche l’attenzione delle Banche Centrali che hanno iniziato a valutare la possibilità di regolamentarne gli scambi, emettendo in proprio moneta elettronica. Superati i timori iniziali, legati per lo più alle truffe e al mondo sommerso del web (i Bitcoin erano diventati la moneta ufficiale delle transazioni illecite online), l’interesse ha quindi iniziato a cambiare. Cosa cambierà per i consumatori? Per il momento niente. Chi vorrà investire continuerà a farlo scambiando Bitcoin, con tutti i rischi che questo comporta.

40 delle maggiori banche del mondo, comprese Citi, JPMorgan, BNP Paribas, Wells Fargo, ING e le italiane Intesa Sanpaolo e UniCredit, per esempio, si sono unite in un consorzio promosso dall’americana R3 per studiare e definire il futuro della blockchain, cioè l’infrastruttura sottostante che regola l’emissione e la circolazione della moneta elettronica, garantendone la sicurezza degli scambi senza che ci sia un’autorità superiore (l’equivalente di una Banca Centrale, in pratica) ad autorizzare ogni transazione. Ecco, allora che a gennaio di quest’anno è stata portata a termine la prima transazione che ha coinvolto un gruppo di undici banche. Ma per il momento si tratta solo di un esperimento.

In Giappone, intanto, è già pronta a muoversi sullo stesso fronte la Bank of Tokyo che, per l’autunno del 2017, lancerà Mufg Coin (acronimo di Mitsubishi Ufj Financial Group) , una nuova cripto valuta per le transazioni bancarie interne, che successivamente verrà estesa anche ai consumatori.

Visa, a settembre, ha stretto una partnership con BTL Group, la start-up dei pagamenti digitali, con l’obiettivo di adattare la sua tecnologia all'elaborazione dei pagamenti interbancari. Anche una delle più grandi banche d’affari del mondo, Goldman Sachs, è entrata nel calderone delle valute digitali puntando circa 50 milioni di dollari nella tecnologia per cercare di ridurre costi e intermediari.
---- Già nel corso del 2015, invece, la piattaforma basata sulla tecnologia blockchain per le aziende, chain.com, che sta sperimentando una piazza di scambio sui mercati privati nella fase di pre-Ipo, ha attirato gli investimenti di Visa, Orange, Nasdaq e Citi Bank per un controvalore di circa 30 milioni di dollari.

Mentre, secondo il Financial Times anche i colossi dell'asset management hanno iniziato a studiare l’argomento. Schroders, Henderson Global Investors, Columbia Threadneedle, Aviva Investors e Aberdeen Asset Management sarebbero al lavoro per un progetto, forse congiunto, di studio di una nuova piattaforma. Ma per il momento, sulla questione vige ancora il più assoluto riserbo.

La valuta made in Italy


Anche l’Italia ha la sua fetta di mercato. L’ultima novità è C-Coin, il sistema di pagamento che utilizza la blockchain sviluppato da Cedacri, la società italiana specializzata nei servizi di outsourcing per il mondo bancario. C-Coin permette la realizzazione di pagamenti in real time in modalità P2P e P2B, cioè tra clienti e dai clienti verso le società business. Ma già sono al vaglio molte altre possibili applicazioni: dalla verifica d’iden¬tità alla sottoscrizione e scambio di contratti, a nuove modalità di pagamento nell’ambito dei marketplace.

La particolarità di C-Coin è che si tratta di una soluzione che ha già seguito l’iter di adeguamento alle normative dei sistemi di pagamento, antiriciclaggio e adeguata verifica. E per utilizzarla è necessario uno smartphone. Lo schema, infatti, si basa su un insieme di nodi certificati, utenti conosciuti e transazioni certificate. Mentre la sicurezza è garantita da un meccanismo di firme digitali che verifi¬cano le richieste in ingresso. Per firmare le transazioni gli utenti utilizzano chiavi di sicurezza che risiedono unicamente sul loro smartphone e possono essere disattivate dalla banca in caso di richiesta.

Rispetto ai tradizionali metodi di pagamento, quindi, le operazioni non avvengono appoggiandosi a circuiti tradizionali, ma utilizzando il paradigma della blockchain. Le banche che intendono aderire al servizio (non necessariamente quelle che utilizzano il sistema informativo di Cedacri), dunque, hanno la possibilità di sottoscrivere C-Coin, interfacciarsi con gli altri nodi della rete e interagire con le app degli utenti.

---- Fatto salvo questo servizio, nuovissimo, tuttavia il mondo delle valute virtuali made in Italy continua ad essere ancorato per lo più a una dimensione regionale. L’apripista è stata Sardex, una startup nata nel 2009 in Sardegna che ha creato una sorta di moneta complementare che funziona come sistema di misura e di scambio di debiti e crediti interno a un circuito di aziende che operano nella regione. A differenza del Bitcoin non è una valuta convertibile, non ci sono banconote, ma offre la possibilità alle imprese facenti parte del circuito di finanziarsi reciprocamente. La piattaforma veicola in media transazioni nell’omonima valuta virtuale, Sardex, pari all'equivalente di 4 milioni di euro ogni mese. E registra un volume complessivo di scambi per circa 50 milioni di euro.

Sempre a livello regionale, sul modello di Sardex, si è sviluppato in Emilia Romagna Liberex.net, il circuito commerciale della regione che ha aperto i battenti nel maggio del 2014 e che, a un anno dal suo debutto, contava circa 150 imprese aderenti per un totale di masse movimentate che si aggirava intorno al milione di euro. Funziona così: a ogni impresa che si iscrive al circuito viene aperto un conto in Liberex, la valuta specificatamente creata e spendibile solo all’interno della rete. A questo punto si possono iniziare gli scambi. Ogni impresa ha la possibilità di scambiare e acquistare determinati beni o servizi senza utilizzo di denaro reale, ma ottenendo in cambio un credito in Liberex da spendere sempre all’interno del circuito per altri servizi.

Le iniziative locali hanno avuto successo. Grazie agli ingenti capitali smossi dalla capostipite, infatti, gruppi di imprenditori locali hanno fondato in collaborazione e sul modello di Sardex, una serie di circuiti gemelli tutti riuniti sotto la comune denominazione di Circuito di Credito Commerciale. Così, oltre al Liberex dell’Emilia Romagna, il servizio di valuta virtuale nato in Sardegna si è già allargato anche in altre regioni italiane: Piemonte (Piemex.net), Lombardia (Linx, nato nel 2015), Marche (Marchex), Abruzzo (Abrex.net), Lazio (Tibex.net nato nel 2014), Molise (Samex) e Campania (Felix.net) sono state le prime, poi sono seguite Umbria (Umbrex) e Veneto (Venetex). E di recente ha attirato l'attenzione e i capitali (per un totale di 3 milioni di euro) di Innogest (lead investor), Invitalia Ventures e Banca Sella Holding insieme a Fondazione di Sardegna.

© Of-Osservatorio finanziario riproduzione riservata

Leggi Anche:


Contatti

OF Osservatorio Finanziario

OfNews è una realizzazione di OF Osservatorio Finanziario. Leggi Privacy Policy (formato PDF)

Visita il sito